Liborio Marotta

(Laico + 1749)

 

Nacque a Peschiolo di Lucoli da Antonio e Domenica Biancuccia. A dodici anni si mise a custodire il piccolo gregge di famiglia. Purtroppo in un rigido inverno perirono tutte le pecore. Per guadagnarsi da vivere dovette offrirsi come pastorello ad un ricco proprietario di pecore del suo paese. Recatosi in Puglia per svernare con gli armenti, si impegnò molto anche come questuante per incrementare con il ricavato la devozione alla Madonna detta Iconevetere, che si venera nella cattedrale di Foggia. Ma, essendosi accorto che quel denaro non veniva speso nel modo in cui lui desiderava, se ne dispiacque molto, lasciò la Puglia e fece ritorno a L’Aquila per dedicarsi all’apostolato.

Nei giorni del suo ritorno  si stavano dando le missioni al popolo nelle chiesa cattedrale aquilana, predicate da P. Santarel           li della Compagnia di Gesù, un uomo molto dotto e pio. Liborio si mise a sua disposizione aiutandolo in ogni funzione e contribuendo alla buona riuscita delle sue prediche con molte penitenze. Queste furono sempre parte integrante della fede del pio uomo: egli si nutriva di pane ed acqua, digiunava, dormiva sulla nuda terra e spesso si flagellava. Una notte, tuttavia, mentre si percuoteva, sentì una voce che lo invitava a porre fine a quello strazio: fu accertato che quella voce non era umana, ma divina.

Era un uomo particolarmente attento anche alle esigenze dei poveri e dei più bisognosi, dando loro il cibo e il denaro che la provvidente carità dei buoni non gli faceva mancare.

Liborio si impegnava ogni anno in moltissimi pellegrinaggi e, secondo le fonti, le sue mete preferite furono Roma, Loreto, Santo Spirito della Maiella ed altri. In quei santi luoghi se ne stava a pregare così a lungo in ginocchio da indurre quelli che lo osservavano a restare anche loro in preghiera per lungo tempo.

Benché fosse tanto emotivo per natura, quando lo ingiuriavano, lo deridevano e lo trattavano da infame, birbante ed ozioso, non solo non reagiva, ma diceva di essere veramente come lo descrivevano e pregava quella gente di supplicare Dio affinché lo facesse ravvedere. Questo atteggiamento così insensibile ad ogni maltrattamento era segno della sua immensa umiltà. Liborio dovette quindi subire molte accuse ingiuste e frutto d’invidia. Tra queste ricordiamo quelle di cialtroneria e di contraffazione della parola di Dio a tal punto che il Vescovo, male informato, gli proibì la predicazione. Ma egli, ritenendosi in buona fede, non volle smettere di parlare con la seguente ammonizione: Peccatore, allerta, allerta, la morte è pronta e certa, vita breve, tempo corto, oggi vivo, domani morto!”. Chi ascoltava queste parole non poteva fare a meno di riflettere sulle proprie colpe, perché tutti vedevano in Liborio un uomo davvero superiore. Veramente Dio scelse un debole per confondere i forti.

Come è stato accennato, le molteplici penitenze, cui Liborio sottopose il suo corpo, non fecero che abbreviargli la vita. Colpito da una febbre lenta, ma insistente, fu ricoverato all’ospedale di L’Aquila per ricevere le cure del caso. Essendosi però infastidito perché in quell’ambiente doveva astenersi dalle solite penitenze, se ne uscì e decise di tornarsene a Lucoli per attendervi la morte e farsi seppellire nell’abbazia di San Giovanni Battista, come aveva sempre desiderato. Prima di recarsi a casa sua, volle fermarsi nella villa del Colle, paese della Beata Cristina: sempre più oppresso dal male, ma sempre rassegnato alla volontà divina, si adagiò sulla nuda terra per prepararsi a morire. Intanto il sacerdote del paese gli amministrò gli ultimi Sacramenti e lo assistette fino all’ultimo respiro. Dopo quindici giorni, morì consumato dalla febbre il 23 maggio 1749, all’età di quarant’anni. Una grande moltitudine di gente accompagnò le spoglie di Liborio nell’abbazia di San Giovanni. Mentre il suo corpo era lì esposto, un fanciullo malato di tubercolosi molto avanzata, toccò la mano del Servo di Dio e ne rimase immediatamente guarito. Il santo corpo fu poi deposto sotto l’altare maggiore di questa chiesa lucolana, alla presenza di un numero incalcolabile di devoti ammiratori.