Sante Messe domenicali: ore 9:30 San Luca di Casamaina; ore 10:30 San Menna; ore 11:30 Abbazia San Giovanni Battista; Sabato ore 18 Santa Messa prefestiva Chiesa Ave Maria; consulta la sezione "Orari delle Celebrazioni"

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La Parrocchia di Santa Croce

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La fede degli abitanti di Santa Croce si è alimentata e tuttora si alimenta nella piccola ed accogliente chiesa del paese, antica come le altre di Lucoli.

 

Buccio di Ranallo, nella sua Cronaca, racconta che nel 1345 le nobili famiglie aquilane dei Bonagiunta, dei Camponeschi e dei Nanni di Roio, intenzionati a deporre momentaneamente i loro rancori politici, stabilirono che alcuni dei loro membri si unissero in matrimonio proprio in questa chiesa. Altri documenti ci riferiscono che nel 1225 Meno di Maresciallo di Lucoli ne arricchì la dote parrocchiale con alcuni beni lasciati per testamento e che nel 1407 e 1410 anch’essa fu sottoposta rispettivamente alle decime diocesane e pontificie.

 

Da secoli nel paese, insieme alla Santa Croce, vengono venerati l’ Immacolata Concezione di Maria (in passato esisteva anche una Confraternita in suo onore), il Sacro cuore di Gesù (a cui è dedicata una piccola ma suggestiva cappella all’entrata del paese) e San Vincenzo. Non a caso gli abitanti del luogo potevano vantare ben quattro feste patronali dislocate nel corso di tutto l’anno.

 

Al giorno d’oggi le ricorrenze che si festeggiano sono quella dell’Immacolata Concezione dell’8 dicembre e quella dell’Esaltazione della Croce del 14 settembre. Da sempre in occasione di quest’ultima festività si ricorda la passione di Nostro Signore lungo il suggestivo percorso delle “Tre Cruci”. Esso, segnato da 14 croci (ciascuna corrispondente ad una stazione della Via Crucis), inizia dalla chiesa e conduce fino ad una montagnola fuori il paese, sulla cui cima sono poste le tre croci finali, a ricordo del Calvario. Tale tradizione viene rinnovata anche ogni Venerdì Santo. Le attuali croci in ferro, che hanno sostituito le vecchie croci in legno ridotte in pessimo stato, sono state realizzate nel 1972 da Padre Giorgio Giamberardini Passionista, di Santa Croce. 

Anche i banchi della chiesa, nella parte metallica, sono stati realizzati da Padre Giorgio in sostituzione delle vecchie sedie di proprietà delle famiglie che frequentavano il luogo sacro. Sua anche la mensola su cui poggia il tabernacolo.

L'altare rivolto al popolo è stato realizzato nel 1969 in occasione della I° Messa di Padre Ugo e Padre Sesto Giamberardini, sacerdoti Passionisti, nel loro paese natale.

Nel 1995 Padre Pasquale Giamberardini, fratello di Giorgio e Sesto, fece realizzare la vetrata istoriata che illumina l'abside. Le offerte per sostenere tale realizzazione sono state raccolte dai suddetti Padri Passionisti, mettendovi anche il loro contributo personale. 

 

Questa piccola parrocchia ha anche dato i natali a due grandi personaggi: Domenico da Lucoli (religioso laico morto in concetto di santità) e padre Gabriele Giamberardini (illustre teologo francescano).

La Parrocchia di Sant'Andrea

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La chiesa di S.Andrea di Lucoli fu fondata tra il 1215 e il 1256 nella località anticamente detta “Silva Plana” (selva piana); in quegli anni la chiesa era tassata per “granum unum” (un grano, equivalente a 1/100 di ducato napoletano). 

Il primo riferimento al villaggio e alla chiesa di S. Andrea di Lucoli è del 1377, anno in cui il parroco mise in vendita una casa di proprietà della chiesa stessa. Nel 1424 troviamo invece un Mono di Masciarello di Lucoli che scelse la chiesa di S. Andrea come sua sepoltura, lasciandole un legato. Nel 1467 abbiamo notizie della chiesa di S. Andrea “della Stacca”, che i parrocchiani di S. Andrea costruirono in L’Aquila durante la fondazione della città (XIII sec.).

Del Quattrocento è la casa con arco e cortile interno dei Francavilla, i quali la ereditarono dalla famiglia Del Signore (oggi estinta) nel '700, le cui forme medievali sono oggi quasi irriconoscibili. I Francavilla erano originari di Tornimparte, dove prima del 1557 usavano il cognome Vecchioli. Allo stesso ceppo appartenne fra' Pietro da Tornimparte, figlio di Paolo, teologo, vescovo di S.Angelo dei Lombardi e in seguito di Trivento, morto nel 1361 ad Agnone.

Tra il XV e il XVI sec. vi erano diverse famiglie agiate: i Cicaletta costituivano la famiglia più ricca del paese ed erano gli unici a possedere uno “jus patronatus” (un privilegio di tipo aristocratico) nella chiesa di S. Andrea e di loro, oggi, non si ha più traccia; i Cotoni o De Cotonis, proprietari sin dal XV sec., anch'essi estinti; i Vannicelli, agiati possidenti dal XV sec., oggi ancora fiorenti in S.Andrea. Oltre a queste famiglie agiata vi era un'altra famiglia ancora oggi esistente, quella dei Martinelli, segnalata già nel XV sec. Nella “numerazione dei fuochi” del 1508 troviamo in S. Andrea solo otto nuclei familiari, di cui uno estinto. Nel 1600, come risulta dai registri parrocchiali, un comitato popolare ricostruì la chiesa di S. Andrea, che da tempo era caduta in rovina. Di quell’epoca, con ogni probabilità, possiamo osservare il portale della chiesa, timidamente classicheggiante e il pregiato tabernacolo ligneo del '600, che tante visite pastorali ricordano come l’oggetto più prezioso presente nella chiesa. 

Nel Seicento e nel Settecento si trasferirono, nel villaggio di S. Andrea, altre famiglie, quali i Tempesta, i Trapasso, i De Nino e i Fiaschetti.

La Parrocchia di San Menna

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È certo che la chiesa di S. Menna esisteva già almeno nel 1215. Infatti, essa viene citata, come anche quella di S. Giorgio, in una bolla di papa Innocenzo III, risalente proprio a questo anno, in cui sono elencati i beni dipendenti dall’Abbazia di S. Giovanni Battista a Collimento. Esiste, tuttavia, anche un riferimento più antico, risalente al 789-822, che cita la zona di San Mennato in Silva Plana, ritenuta un insediamento romano corrispondente all’intero territorio delle Ville. Ovviamente non si conosce la forma in cui l’edificio originario si presentava agli occhi del fedele, poiché esso ha subito variazioni nel corso del tempo (non a caso sono presenti affreschi realizzati sopra decorazioni più antiche). Si pensa anche che in principio l’edificio fosse adibito al culto pagano e che, successivamente, sia stato ampliato e consacrato come chiesa cristiana. Certo è che,  per la sua edificazione, sono stati utilizzati materiali provenienti da costruzioni d’età romana del circondario (se ne trova riscontro nella presenza di frammenti di lapidi con iscrizioni latine nella parte sia interna che esterna delle pareti). D’altra parte è noto che questa prassi fosse particolarmente diffusa in tutte quelle zone che avevano ospitato centri romani (per l’Abruzzo, si pensi alla vicina Amiternum o anche ad Alba Fucens). Le motivazioni della procedura del riciclaggio di materiali d’età romana non sono, come si potrebbe superficialmente credere, solo economiche e pratiche: tramite essa l’architettura, e quindi la chiesa cristiana delle origini, voleva soprattutto dimostrare e mettere in risalto che Cristo aveva vinto sul paganesimo.

La chiesa è stata riaperta al culto nel 2001, dopo i lunghi lavori di restauro diretti dalla Soprintendenza  delle Belle Arti e resi possibili anche grazie al contributo dei parrocchiani.

La Parrocchia di San Luca

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L’attuale chiesa di Casamaina, dedicata a San Luca Evangelista, è stata eretta sulle rovine di una precedente piccola chiesa di cui non si conosce la data di fondazione. Essa non era nominata dalla bolla di Innocenzo III indirizzata all’abate del monastero di San Giovanni di Collimento ed ai suoi monaci il 23 aprile 1215 in cui venivano elencate le diverse chiese di Lucoli sottoposte alla giurisdizione dello stesso abate. Si sa che, comunque, dipendeva dall’abate regolare di San Giovanni e non dal vescovo di L’Aquila. Quando, nel 1461, l’abbazia fu secolarizzata da Papa Pio II, l’abate ne conservò la giurisdizione ordinaria e quindi il diritto di nominarne il curato.

L’11 settembre 1864 la gente di Casamaina commissionò la sua croce processionale all’orafo aquilano Giuseppe da Rascino per la cui realizzazione offrirono rame, oro, tre libbre e mezza di argento e cinquanta ducati.

Si sa, inoltre, che questa precedente chiesa conteneva al suo interno due altari, uno posto frontalmente e uno posizionato nel lato su cui oggi si trova la statua di Maria Bambina.

Tale chiesa fu distrutta nel 1960 per  volontà del parroco allora in carica (don Valente Di Carlo) perché appariva in stato di avanzata precarietà e perché ritenuta troppo piccola per accogliere i circa 400 abitanti che allora abitavano il paese. Al suo posto ne venne costruita una completamente nuova sempre dedicata all’Evangelista.

La Parrocchia Abbazia di San Giovanni

 

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L'Abbazia di San Giovanni Battista si trova a circa 1000 metri s.l.m., in posizione dominante la stretta valle dove sono dislocate le diciassette frazioni che compongono il comune di Lucoli.

Questo ex monastero venne fondato, o meglio, rifondato nel 1077 dal conte Oderisio di nazione franca, figlio del conte Berardo, appartenente ad un ramo della famiglia dei conti dei Marsi. L'ipotesi di una rifondazione, anziché una fondazione ex novo, troverebbe sostegno nella presenza dell'abate Pietro e di una già costituita comunità monastica nell'atto di donazione.

Il conte Oderisio donò all'Abbazia cospicui possedimenti di terre per mille moggi, case, vigne, un territorio molto ampio corrispondente in gran parte all'attuale comune di Lucoli. Pose l'Abbazia sotto la diretta soggezione della Santa Sede, sottraendola cioè ad ogni giurisdizione locale: in altre parole non era soggetta al locale vescovo ed aveva piena giurisdizione sul territorio assegnatole; fu dunque un'abbazia nullius. Tra le motivazioni che spinsero il conte Oderisio, che risiedeva nel castello di Collimento, alla donazione di beni c'era l'intenzione di porre al riparo il proprio potere locale dai rischi di un'occupazione normanna, che in quegli anni iniziava i primi tentativi di invasione, mediante la fondazione di un monastero privato. Le motivazioni politiche, pertanto, prevalsero su quelle religiose, pur non essendo ovviamente esplicitate nel documento di donazione che fa invece riferimento, come d'uso all'epoca, solo all'amore di Dio e alla salvezza dell'anima propria e dei congiunti.

Il primo abate fu Pietro, al quale successe Lucolano, sotto la cui guida il monastero ebbe ospite San Franco di Roio. Nel 1291 fu eletto abate Pietro Matthei che presto, però rinunciò all'incarico per l'impossibilità di governare la vita cenobitica secondo i dettami della Regola, a causa della scarsa disciplina dei monaci. Per questo motivo, con la bolla "Meditatio cordis nostri" del 27 settembre 1294, papa Celestino V unì questo monastero a quello di Santo Spirito di Sulmona dei monaci Celestini. Nel 1318 l'Abbazia tornò, però ad essere autonoma e venne eletto come abate Angelo.

La vita monastica si svolse con alterne vicende che videro l'abbazia attraversare momenti di difficoltà, ma anche assurgere ad una notevole importanza economica e politica.

La vita cenobitica ebbe luogo fino al 1456, anno in cui morì l'ultimo abate regolare eletto dai monaci. In relazione alle non buone condizioni spirituali, morali e materiali del monastero, papa Callisto III, nel 1461, soppresse e secolarizzò il cenobio e nominò il primo abate commendatario nella figura di Giambattista Gaglioffi, membro dell'omonima importante e facoltosa famiglia aquilana, che fu anche vescovo aquilano dal 1488 al 1491. Questo abate, come tutti i successori secolari, elesse la propria dimora nella chiesa di San Giovanni di Lucoli a L'Aquila (ora non più esistente), anziché nella residenza monastica di Collimento, determinando quel distacco tra la popolazione lucolana da una parte e l'abate dall'altro. Gli abati commendatari, non provenendo dall'ambiente monastico, erano poco sensibili alle necessità dei monaci e consideravano le abbazie alla stregua di pure e semplici proprietà dotate di rendita finanziaria. Ebbero perciò scarso interesse per la vita religiosa che vi si conduceva, sicché il periodo della commenda in generale fu un periodo di decadimento sia della vita monastica che delle strutture edilizie.

Nel 1754, papa Benedetto XIV pose termine alle continue dispute tra le diocesi ponendo l'abbazia sotto la giurisdizione del vescovo aquilano. La popolazione non gradì la decisione e l'abate dell'epoca, Mari, richiese perciò la soggezione al patronato regio nella speranza di di riconquistare in parte l'autonomia perduta. Nel 1793 Ferdinando IV re di Napoli, nell'accondiscendere alla richiesta, decretò l'abbazia di regio patronato, riservandosi l'elezione dell'abate commendatario e lasciando al vescovo la sola approvazione canonica. Tale situazione sembra perdurare fino al 1869, fin quando cioè i parroci di San Giovanni Battista, che conservano tuttora il titolo onorifico di "abate", iniziarono ad essere nominati dal vescovo.